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JFK

Oggi ricorre il 50° anniversario della morte di John F. Kennedy. I giornali americani aprono gli archivi e pubblicano in rete le prime pagine del 23 novembre 1963; qualcuno esce in edicola direttamente con la ristampa dell’edizione di cinquant’anni fa. Tutti gli speciali, gli approfondimenti e i documentari trasmessi per l’occasione dalle tv nel corso di questo mese hanno ottenuto grande successo di pubblico. In particolare:

  • The Assassination of President Kennedy, documentario trasmesso il 14 novembre dalla CNN come episodio della serie The Sixties, coprodotta da Tom Hanks
  • Killing Kennedy, film per la tv del National Geographic andato in onda anche in Italia il 17 novembre (chi ha un abbonamento Sky potrà vederlo domani, 23 novembre, alle 14:40 o domenica 24 alle 00:40)

Segnalo anche due iniziative su Twitter:

JFK Library sta raccontando i mille giorni della Presidenza Kennedy, come se fosse una cronaca in tempo reale (@JFK_1963).

Simile è il progetto della radio pubblica americana NPR, che sta twittando notizie dal 1963, anche in questo caso come se si riferissero all’attualità (@todayin1963).

La storia di Greg Packer, l’uomo più citato dai media americani

 Se l’americano medio avesse un volto, certamente sarebbe quello di Greg Packer. Non solo perché è un trippone di mezza età dall’incipiente calvizie. Telefonate una qualsiasi delle migliori redazioni giornalistiche a stelle e strisce e dopo una raffica di bestemmie ne riceverete conferma. Greg Packer può infatti fregiarsi del titolo di “man on the street” più citato dagli organi di informazione made in USA.

Nel linguaggio mediatico questa espressione – traducibile con l’equivalente latino “vox populi” – rimanda alla consolidata pratica giornalistica di intervistare l’uomo comune, l’uomo della strada appunto, per rendere conto al pubblico di quale sia l’opinione popolare corrente rispetto a determinati eventi di costume, fatti di cronaca o argomenti d’attualità. Poniamo che un inviato debba confezionare un servizio televisivo su un incontro di calcio. Andrà allo stadio qualche ora prima del fischio d’inizio e intervisterà i tifosi di entrambe le squadre per tastare il clima prepartita. Se il giornalista è di Studio Aperto si preoccuperà di intercettare il più facinoroso della compagnia, meglio se un neonazi con le braghe calate che ce l’ha a morte con i negri, se è del Tg1 punterà il padre di famiglia che stringe fra le braccia il pargolo con in testa un cappelletto bicolore e nella manina una bandiera della squadra del cuore sventolante. Se il giornalista è americano, invece, per prima cosa si tratterà di baseball e non di calcio, ma soprattutto è molto facile che si materializzi sotto i suoi occhi la figura bonaria e pacioccona di Greg Packer.

Greg Packer – che per quelle meravigliose bizzarrie del destino in vita sua ha lavorato sempre come addetto alla manutenzione delle strade, quindi man on the street per eccellenza (ok, questa potevo evitarla) – dal 1995 ad oggi è stato citato come vox populi dagli organi di informazione statunitensi più di cento volte fra articoli di giornale e servizi televisivi. Dal 1994 al 2004 è stato citato o fotografato almeno 16 volte dall’Associated Press, 14 da Newsday, 13 da dal New York Daily News, 12 dal New York Post. Vi consiglio di leggere la corposa pagina Wikipedia del nostro campione, corposa dato il soggetto in questione, che non ha nulla da invidiare a quella di una starlette hollywoodiana o di un geniale ma poco noto luminare della fisica quantistica.

Ovviamente questa sovraesposizione mediatica non è un caso, ma il frutto di una strategia studiata fin nei minimi dettagli. Packer ci si impegna così tanto che ha fatto dell’apparire su giornali e tv costi quel che costi lo scopo principale della sua esistenza terrena. Apprendo da Wikipedia che il nostro adotta due tecniche in particolare: a) presenzia al maggior numero possibile di eventi a cui si prevede partecipino delle celebrità, vive o morte che siano; b) cerca di essere sempre il primo ad acquistare qualsiasi tipo di nuovo prodotto, specie se un oggetto tecnologico di marca Apple, che si suppone riceverà ampia copertura giornalistica nel giorno del lancio sul mercato; l’abilità e le capacità di resistenza psicofisica dimostrate in questa attività gli sono valse la qualifica di professional line sitter.

Nel posto giusto al momento giusto, semplice. Un Paolini d’oltreoceano, solo molto più discreto, che non insulta il Papa in diretta e al quale non frega una mazza delle campagne sociali a sostegno dell’uso del preservativo. Ecco alcuni dei trofei che impreziosiscono il suo palmarès:

–  nel 2012 è uno dei primi tra quelli che sostano nell’area riservata agli spettatori ad apparire in video durante i funerali di Whitney Houston; citato addirittura da France-Press

– nel 1997 guida la fila di persone che si trovano davanti al consolato britannico per firmare il libro di condoglianze in occasione della morte della principessa Diana

– nel gennaio del 2001 dorme nella neve di Washington solo per essere il primo a dare il benvenuto a George W. Bush nel giorno dell’insediamento alla Casa Bianca

Ora, i giornalisti sono distratti e coglioni, ma fino a un certo punto. Il nome di Gregory Packer inizia a circolare nelle redazioni finché viene sgamato. Diventa a tal punto uno spauracchio che l’AP è costretta a diffondere un allarmante memo interno (JIMROMENESCO.COM):

To: News Editors/Correspondents USA

The world is full of all kinds of interesting people.

One of them is Greg Packer from Huntington, NY who apparently lives to get his name on the Associated Press Wire and in other media.

A Nexis search turned up 100 mentions in various publications. And that is just a handful of the stories. He shows up in AP Broadcast actualities and in one APTN piece.

Mr. Packer is clearly eager to be quoted. Let’s be eager too — to find other people to quote.

So far, he is apparently just attending East Coast events. But it is not out of the realm of possibility that he will someday show up in your town, first in line somewhere.

Ma le citazioni non si fermano né il signor Packer si lascia intimorire, anzi, prende questo per lui inconsueto ostracismo dei media come un’attestazione ufficiale del suo talento e della sua vittoria finale.

La ciliegina sulla torta prima di lasciarvi ad un bel video del New Yorker sull’argomento. Scorro fino in fondo alla pagina Wikipedia del nostro eroe e tra i link esterni ne trovo uno che rimanda a quello che dovrebbe essere il blog di Packer. Ci clicco su. In pratica pare che quest’uomo sia stato il primo in assoluto a comprare un iPhone presso l’Apple Store sulla Fifth Avenue di New York. Si è accampato davanti al negozio il 25 giugno del 2007 alle 5 del mattino, ovvero più di quattro giorni prima dell’uscita ufficiale dello smartphone sul mercato statunitense. E ha messo in piedi un sito WordPress, postando solo tre volte, tutte il 26 giugno, per raccontare al mondo la sua impresa. Sulla colonnina laterale del “blog” un annuncio recita:

Want to help make my experience sitting in line more comfortable? Anything you can donate via PayPal (grego11743@hotmail.com) or drop by for me in line will be greatly appreciated!

Blank on Blank, l’archivio delle interviste perdute

Recuperare vecchi nastri di interviste, soffiar via la polvere che si è depositata nel corso del tempo e farli rivivere in una nuova veste editoriale, che all’audio originale combina musica, caratteri testuali, disegno animato e videoarte. Questa è l’idea alla base di “Blank on Blank”, un interessante progetto di giornalismo multimediale nato grazie alla piattaforma di crowd funding Kickstarter, che ora è diventato anche una serie animata per i “Digital Studios” della PBS, l’emittente televisiva pubblica degli Stati Uniti.

I canali di diffusione di Blank on Blank: da YouTube ai podcast su iTunes, passando per  PRX (media company che distribuisce e revisiona contenuti per il sistema radiofonico pubblico degli Stati Uniti).

I canali di diffusione di Blank on Blank: da YouTube ai podcast su iTunes, passando per PRX (media company che distribuisce e revisiona contenuti per il sistema radiofonico pubblico degli Stati Uniti). Immagine tratta da blackonblack.org

Lo studio “Blank on Blank” è stato fondato da David Gerlach, un giornalista americano che ha lavorato sia per la televisione (“Good Morning America” e MSNBC) che per la stampa (ha iniziato la sua carriera giornalistica scrivendo di politica e cultura per “Newsweek” e “New York Post”). Come si legge nella scheda di presentazione del team creativo pubblicata sul sito, Gerlach ha sempre considerato fondamentale l’apporto fornito dallo strumento giornalistico dell’intervista al racconto della vera storia americana. Da questa consapevolezza è partita l’idea ambiziosa di costruire un archivio delle interviste perdute.

Solitamente ogni giornalista registra le proprie interviste, quali che siano scopo, occasione e destinazione delle stesse. Per poter trascrivere, tagliare, riassumere, verificare, setacciare. Ma soprattutto per difendere la propria professionalità, per non essere accusato di voler travisare il pensiero dell’interlocutore che spesso non si rende conto di ciò che dice, salvo poi smentire tutto quando certe dichiarazioni sconvenienti vengono rese di pubblico dominio.

Quando non servono più, questi documenti sonori finiscono sepolti  in qualche cassetto polveroso o nella memoria di un computer.

“Blank on Blank” li salva dall’oblio, scova nastri inediti, giunti alle orecchie di pochissimi privilegiati, recupera l’audio originale di interviste finora apparse solo in versione cartacea, restituendoci la viva voce dei grandi protagonisti della cultura americana e, con questa, un racconto più intimo, più caldo di quello che si può leggere su un articolo di giornale. Materiale che viene messo a disposizione di tutti, gratis, rientrando nel circuito mediatico sotto forme e attraverso strade diverse: segmenti sonori per la radio pubblica, podcast per iTunes, corti animati per YouTube.

Ma “Blank on Blank” si spinge oltre la già meritoria attività di salvataggio e archiviazione. Grazie al contributo di videoartisti, disegnatori ed esperti di animazione, prova a reinventare il linguaggio giornalistico senza intaccare il contenuto informativo dell’intervista, arricchendolo invece di sfumature semantiche.

Gerlach è convinto che il futuro del giornalismo passi dalla capacità di “mixare” il passato. Certo è che, specie agli albori del giornalismo online, le aziende editoriali hanno usato gli archivi per modulare l’offerta informativa e trovare la via del profitto. Questa strategia non ha prodotto i risultati sperati (tant’è che molti editori hanno scelto di sperimentare il paywall con esiti non sempre felici) e soprattutto non ha inciso sulla forma del prodotto giornalistico. Lo strumento dell’archivio assume tutt’altra rilevanza nel contesto del data journalism, dal momento che l’utilizzo sistematico e scientifico dei database investe direttamente le tecniche professionali dell’indagine giornalistica. Ma ciò che intende Gerlach è ancora altro. Non si tratta solo di recuperare documenti ingialliti, di organizzarli e garantire un facile accesso a dati grezzi e contenuti editoriali. Questo è solo il primo passo. Si tratta di trasformare il linguaggio giornalistico, di cambiare le forme espressive della narrazione. Mixare il passato significa attualizzarlo, moltiplicare gli spazi di fruizione. Vuol dire usare le enormi opportunità offerte dal digitale per immaginare un linguaggio giornalistico ibrido, capace di raccontare storie in modo attraente, senza per questo rinunciare alle regole fondamentali del mestiere che restano quelle di ieri.

Per il momento la serie animata comprende tre episodi: un’intervista a Larry King sulla seduzione, una a Jim Morrison sul bello di essere grassi e quella a D. F. Wallace che ho postato in apertura, realizzata da Leonard Lopate per WNYC. Più consistente è invece l’archivio delle tracce audio che, pur non rientrando nella striscia per la PBS, sono state comunque sottoposte ad un brillante lavoro di editing.

E’ il caso delle due interviste che seguono. Nella prima, condotta da Vanessa Juarez sul set del film “The Wrestler”, Mickey Rourke parla di come sia riuscito a trasformarsi in un perfetto lottatore di wrestling ‒ ruolo che lo ha riportato alla ribalta cinematografica dopo un lungo periodo di declino, e che gli è valso un Golden Globe e una candidatura all’Oscar come migliore attore protagonista ‒ e di come ci si sente a cadere in disgrazia dopo aver assaporato i piaceri del successo. Nella seconda, realizzata da Anthony Bozza per “Rolling Stone”, Bono ricorda gli ultimi giorni di vita del padre.

Questo invece è l’audio completo di un’intervista di Michael Aisner a Mohammed Ali che risale al 1966. “The Greatest” fa il buffone ed è sempre un piacere ascoltarlo, anche se non si capisce una parola di inglese americano; basta abbandonarsi al ritmo del suo eloquio, così simile a quello dettato dalle sue gambe e dai suoi piedi ai fulminei pugni nella danza fra le corde del ring.

Il sito di “Blank on Blank” è una vera miniera d’oro. Ogni traccia sonora è corredata da informazioni su autore, data, luogo, tipologia e supporto di registrazione dell’intervista (in genere microcassette, ma anche minidisc e altri tipi di supporti digitali più recenti). In molti casi si può leggere la trascrizione completa dell’audio, preceduta da informazioni di contesto e dal racconto della fase di preparazione dell’intervista.

Date un’occhiata, ne vale la pena.

Innamorarsi a Manhattan

La copertina dell’ultimo numero del New Yorker ritrae una coppia di giovani innamorati, intenti a scambiarsi tenere effusioni in quello che ha tutta l’aria d’essere il Central Park della Grande Mela.

Luci Gutiérrez, 1 Aprile 2013.

Luci Gutiérrez, 1 Aprile 2013.

Prendendo spunto da questa immagine, la redazione ha rispolverato una serie di romantiche copertine risalenti agli anni Venti del secolo scorso e accomunate dal tema dell’amore e dell’innamoramento. Ne posto qualcuna, le altre le trovate sul sito della prestigiosa rivista statunitense.

Stanley W. Reynolds, 29 maggio 1926

Stanley W. Reynolds, 29 maggio 1926.

Carl Fornaro, 21 marzo 1925.

Carl Fornaro, 21 marzo 1925.

M, 8 Agosto 1925.

M, 8 Agosto 1925.

Inevitabile che il pensiero corra subito alla scena simbolo di “Manhattan” .