Archivi tag: Pamuk

Due cose sullo scrivere

Bukowski ha scritto:

[…]

se devi startene seduto per ore

a fissare lo schermo del computer

o curvo sulla

macchina da scrivere

alla ricerca delle parole,

non farlo.

[…]

se devi startene lì a

scrivere e riscrivere,

non farlo.

se è già una fatica il pensiero di farlo,

non farlo.

[…]

se devi aspettare che ti esca come un

ruggito,

allora aspetta pazientemente.

se non ti esce mai come un ruggito,

fai qualcos’altro.

Cos’è soprattutto la scrittura, ispirazione o mestiere? Lui è stato un autore prolifico, soprattutto come poeta, e solo per un breve periodo della sua vita, in vecchiaia, ha sperimentato il famoso blocco dello scrittore, del quale peraltro ha scritto nella speranza di superarlo. Sarà che mi conviene, perché a me non riesce così facile, ma io non la penso proprio come il vecchio Buk. Si può essere scrittori, e anche grandi scrittori, facendo come gli artigiani, che limano, piallano, modellano, smussano, appuntiscono, perdendoci le ore e il cervello, scambiando o rimontando i pezzi finché non ottengono un risultato che assomigli il più possibile all’immagine che avevano in testa prima di iniziare il lavoro. E quando ti capita di vederlo, il risultato, non ti accorgi della fatica e dello sforzo che c’è dietro, a te sembra che sia piovuto dal cielo così, già pronto e impacchettato.

Ho letto da qualche parte che Orhan Pamuk di solito scrive al massimo una pagina al giorno e non penso che questo significhi che non è un grande della letteratura. Probabilmente ancora una volta la verità sta nel mezzo.

Una parte dello scrivere è fatta di perseveranza, pratica, ripetizione; un’altra consiste nell’attesa, l’attesa di un lampo interiore che sveli la formula magica, la combinazione perfetta, guidando la mente verso le dita attraverso la selva dei pensieri e delle parole. Ma una cosa la so per certo: anche quando devo buttar giù una stupidaggine, quando basta mettere in fila qualche frase, c’è sempre un attimo più o meno lungo di silenzio nella testa, di fronte allo spazio bianco, aspettando di trovare le parole giuste per avviare la catena, quelle che danno l’abbrivio per scivolare fino al termine della storia. E alla fine tutto il gusto di scrivere si riduce a questo, all’eccitante momento in cui ti accorgi di aver detto esattamente quello che volevi dire, esattamente come lo volevi dire.