Due polizieschi che non lo sono #1 – “Pulp”, Charles Bukowski

Ieri notte ho fatto le ore piccole cercando di leggere tutto d’un fiato l’ultimo romanzo di Bukowski (1994). Alla fine ci sono riuscito e non mi è costato nemmeno troppo sforzo. Merito suo.

Vorrei concentrarmi su un dettaglio biografico importante e al tempo stesso trascurabile. Come spiega anche la traduttrice Simona Viciani nell’affettuosa prefazione alla nuova edizione dell’Universale Economica Feltrinelli (aprile 2012), quando Bukowski si accinge a scrivere Pulp è gravemente malato e consapevole che sta per morire.

Importante perché consente di capire con quale spirito è stato scritto il romanzo, di cogliere le sfumature, le allusioni, il senso ultimo di un’ironia sprezzante che è quella speciale di chi fa il gradasso per insicurezza e paura. E qui si tratta della paura della fine. Ma non fondamentale perché il tema della morte ricorre in tutta l’opera di Buk, anzi, si può dire che è il cardine della sua poetica: il nulla, l’assurdo, l’impossibilità (o l’incapacità) di dare un senso alla condizione umana; la morte in vita, specialmente. Non una novità fra gli artisti, il Tema dei temi che però in Bukowski raggiunge il grado zero.

Pulp non è un testamento letterario, Buk avrebbe potuto scriverlo a trent’anni e non sarebbe apparso troppo diverso. Probabilmente dentro avremmo trovato la stessa cosmica disillusione, lo stesso stile asciutto, lo stesso linguaggio crudo al limite del sopportabile. Nonostante si presenti nella forma del romanzo di genere, Pulp non può essere considerato un’anomalia, un episodio a sé stante nell’ambito di una produzione letteraria sostanzialmente uniforme. E’ invece il capitolo finale di quell’unica, grande opera rappresentata da tutti i racconti, i romanzi, le poesie e le sceneggiature che lo scrittore americano ci ha lasciato. L’ennesima variazione su un singolo tema che è Bukowski stesso.

La trama è secondaria, ci si mette poco a capire che non ci troviamo di fronte a un vero poliziesco, seppure in forma di parodia. I dialoghi grotteschi ed esilaranti giustificano da soli l’esistenza di un libro come Pulp. C’è un detective, ci sono donne fatali (e quanto fatali!), casi da risolvere, ma tutto questo non conta. E’ solo uno scherzo serissimo, una maschera, un travestimento, un sasso scagliato in mezzo agli occhi del Gigante.

Ciò che conta è il Passero Rosso…

P. S. Bukowski attinge di frequente al mondo animale per costruire metafore e similitudini. Tigri, serpenti, ratti, mosche, scarafaggi, cani, uccelli. A proposito di uccelli vi lascio con questa che è una delle mie preferite. Il video è tratto dal documentario Bukowski: Born Into This.

Pssst, è la cosa migliore a proposito di Buk mai prodotta ed è disponibile per intero sul tubo.

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